Agli albori della settima arte, prima dell’avvento del sonoro, del digitale, del 3D e di moltre altre tecniche che hanno saputo consegnarci lo spettacolo del cinema, c’è stato un cineasta che solo grazie alle espressioni del suo viso ha saputo trasmetterci tutta la magia del grande schermo. Parliamo ovviamente dell’intramontabile Charlie Chaplin e del suo Charlot, tipo universale che ha portato al cinema durante la sua lunghissima e prolifica carriera. Emblema della lotta ai poteri forti e della battaglia contro ogni tipo di sopruso e ingiustizia sociale.
Personaggio rappresentativo dei più deboli che però con dignità e senso di giustizia si oppongono alle iniquità di un tempo che può sembrare remoto, ma che, anch’esso, come il personaggio che lo vive, risulta sorprendentemente universale e attuale. Charlot, quindi, è un personaggio che buca lo schermo, rompe la distanza tra spettatore e spettacolo e, straordinariamente, riesce a far provare un ventaglio di emozioni variegatissimo, passando dalle risate più autentiche alle lacrime di commozione.
Uno dei film diretto e interpretato da Chaplin che più dimostra questa poliedricità e questa doppia anima è probabilmente Il Monello, opera che evidenzia anche il lato “melodrammatico” del suo autore, laddove precedentemente avevamo avuto lavori in cui la comicità tout court l’aveva fatta da padrona. Questa volta, invece, così come annunciato dalla didascalia iniziale, siamo di fronte ad un film che ci farà sicuramente ridere, ma che al tempo stesso riuscirà miracolosamente a trascinarci in un’inaspettata commozione rappresentata da un rapporto padre-figlio che ha ispirato moltissime delle opere a venire.
I protagonisti, infatti, sono Charlot, che cerca di sbarcare il lunario facendo il vetraio, e un orfanello che viene abbandonato dalla madre e che incrocia la sua strada proprio con il nostro vagabondo. Il rapporto dolcissimo e tenerissimo che si instaura tra i due sta alla base del racconto, dal momento che Charlot, trovato il bambino per strada, si vedrà costretto a prendersi cura di lui, nonostante la ristrettezza dei suoi mezzi e la scarsa preparazione in merito. Del resto anche il bambino può essere considerato un carattere universale, proprio perché fa da specchio all’adulto nell’interscambiabilità delle loro caratteristiche peculiari: Charlot è un “bambino” cresciuto, l’orfano è fin troppo maturo per la sua tenera età. E se ci è dato modo di divertirci e sorridere soprattutto per quanto riguarda i “mezzucci” a cui i due ricorrono pur di procurarsi un po’ di lavoro, la tragedia non tarda ad arrivare, con una straziante separazione forzata che porterà il nostro vagabondo ad una disperazione a tratti delirante con un finale che ha dell’onorico e che rappresenta uno dei momenti più alti della storia del cinema. Charlot fa un sogno che solo in superficie sembra idilliaco: nel viale della sua abitazione, all’occorenza decorato con splendidi fiori, una serie di “angeli” tra i quali il suo monello, lo conducono in volo. Ma l’idillio, appunto, è spezzato dall’arrivo di alcuni diavoletti tentatori e il Nostro si risveglia strattonato da un poliziotto… Un sogno che, anch’esso, come tutte le situazioni narrate da Chaplin, ha il compito di metaforizzare dei temi più importanti, come in questo caso l’incapacità di trovare una reale e completa felicità in questo mondo ingiusto, anche se non manca mai la consapevolezza di doversi fare spazio, cercando appagamento e realizzazione anche nelle piccole cose.
RITRATTO DELL’ATTORE
Artista che ha saputo parlare alle masse, alle quali ha trasmesso temi importantissimi e profondossimi, facendo ricorso alla semplicità di un sorriso o di una lacrima, Chaplin sin da bambino, accanto al fratello e per sostenere la madre in grave difficoltà economica e con una salute labile, si è fatto le ossa con varie compagnie teatrali, imparando poi anche l’arte di esprimersi senza parlare. Il suo primo contratto con un casa cinematografica, la Keystone, risale al 1913 e da lì un percorso in ascesa che lo vide attore e regista di centinaia di cortometraggi, cosa che gli fece guadagnare delle somme altissime, tirandolo fuori dalla povertà che aveva contrassegnato la prima parte della sua vita. Il primo grande successo che gli valse l’“etichetta” di star è, appunto, Il Monello, dove fece recitare il piccolo Jackie Coogan (in futuro il notissimo Zio Fester della Famiglia Addams). Ma Il Monello è solo il primo di una serie di capolavori che hanno raccontato un’epoca, ma principalmente hanno trasmesso un’umanità quasi tangibile, fatta di gioie e dolori, ma soprattutto di profonde considerazioni sulla società, sull’amore e sui rapporti interpersonali in generale. Tra questi non possiamo non citare gli indimenticabili La Febbre Dell’Oro, Luci Della Città, Tempi Moderni e Il Grande Dittatore.
Colpevolmente premiato agli Oscar sono negli anni ’70 con una statuetta per la sua sterminata carriera, deceduto in vecchiaia serenamente, rimarrà immortale proprio perché il suo Charlot continua ad essere un personaggio universale e le sue opere continuano ad ispirare gli amanti della settima arte e gli addetti ai lavori. Molto probabilmente il più grande attore, anzi il più grande artista, che il cinema abbia mai conosciuto.
ALESSANDRA CAVISI