Dopo una nuova retrospettiva sull’arte e la vita della carismatica Frida Kahlo, che è stata ospitata e si è conclusa pochi giorni fa al MUDEC di Milano, abbiamo pensato di ripercorrere le tracce di quest’artista tormentata eppur capace di combattere con determinazione e ottimismo le sue battaglie quotidiane, anche le più atroci per le quali ha rischiato la vita. L’arma potentissima di Frida è sempre stata la forza dirompente del suo animo che, attraverso l’arte, era sostegno e appiglio durante tutta la sua troppo breve vita. A raccontare tutto ciò che riguarda questa straordinaria donna e geniale artista ci hanno pensato in tanti e sono state scritte innumerevoli biografie su questa pittrice che, suo malgrado, è diventata oggetto di una venerazione diffusa, benché spesso mista a consumismo (come si vuole di qualsiasi figura divenuta un cult).
Ma chi era Frida Kahlo?
Frida nasce a Coyoacán il 6 luglio 1907. Figlia di un fotografo ebreo tedesco sfuggito alle prime persecuzioni razziali e di una donna messicana di origini azteche, Frida Kahlo “nasce” artisticamente il 17 settembre 1925 quando, viaggiando su un autobus, subisce un tremendo incidente contro un tram che percorre la direzione opposta, rimanendo letteralmente schiacciata contro un muro. Il suo corpo ne esce martoriato, distrutto, morto; ma la sua anima è più forte, urla e si aggrappa alla vita con indicibile caparbietà. Quella ragazzina dalle folte sopracciglia brune guarda in faccia la “Santa Muerte” e la scaccia. Così farà per tutta l’esistenza quando, ogni giorno al calar del sole osserva la morte danzare attorno al suo letto e ogni giorno la sconfigge inforcando i pennelli, dipingendo per strappare il dolore via dal suo corpo e scaraventarlo sulla tela.
È così che la giovane Frida inizierà a ritrarre, soprattutto se stessa, per combattere la solitudine dei lunghi mesi passati a letto con la sua sola immagine come compagna; poi, negli anni, continuerà a farlo per cercare almeno in parte di sopprimere quel dolore fisico e mentale che continuerà a tormentarla e che nemmeno la morfina riusciva a mettere a tacere.
Frida non appartiene ad una famiglia povera, di certo non tra le più povere del Messico, ma nemmeno ad una famiglia tra le più ricche, infatti le continue operazioni chirurgiche a cui il padre la sottopone, nell’estremo tentativo di farla tornare a camminare, finiscono per dilapidare le disponibilità famigliari. A dispetto di tutto e tutti, però, la ragazza con estrema forza d’animo riesce ad alzarsi da quel letto a baldacchino e, ridendo ancora in faccia alla morte, prende i suoi quadri e faticosamente li sottopone al famoso artista messicano Diego Rivera per sapere se potevano valere qualcosa oppure no.
Rivera osserva quei quadri e s’innamora immediatamente di quella pittura così istintiva, forte, seppure intimista. E com’è noto si innamorerà anche della stessa Frida, percorrendo, tra alti e bassi, tutto il corso della sua vita.
Quello tra Frida e Diego è un incontro-scontro da cui entrambi usciranno trasformati: la pittura espansiva di Rivera s’incontra con quella più minimale ed intimista della Kahlo, divenendo un connubio di energie che si riversano non solo nell’arte, ma anche nella vita. Grazie all’aiuto di Diego, Frida entra con prepotenza nel Partito Comunista messicano, di cui Rivera era il fondatore, e si adopera per rendere tangibile la rivoluzione, per creare un mondo nuovo, per farlo diventare un fatto concreto.
Ecco che però è costretta a scontrarsi con la vita che, ancora una volta, la tradisce. Durante un viaggio a New York, infatti, scopre di aspettare il tanto agognato figlio Dieghito ma, mentre Rivera sta dipingendo un murales per il Rockefeller Center, subisce l’ennesimo aborto. L’esito di questa esperienza è così devastante per la pittrice, che trasferisce tutto il suo strazio nel dipinto Ospedale Henry Ford (1932).
Di ritorno in Messico, Diego viene dapprima espulso dal Partito Comunista in quanto considerato collaboratore degli americani per aver accettato di dipingere il murales e per essersi impegnato a dare asilo all’esule, nonché acerrimo nemico di Stalin, Lev Trockij e a sua moglie.
Ironia della sorte, quel murales, tanto colpevolizzato dal partito, non vede la luce ma viene distrutto dal governo americano perché Rivera aveva pensato bene di dipingere un operaio con la faccia di Lenin. Ancora una volta, Frida e Diego dimostrano di voler con la loro arte prendere in giro i grigos americani, usando l’arma del capitalismo contro di loro.
L’esito di quel viaggio in America fece cadere Frida in un forte stato depressivo e un nuovo aborto peggiorò la sua condizione fisica, oltre che psicologica. Si diede all’alcol per cercare sollievo al dolore con cui ormai da troppo tempo conviveva. Nel 1939, a seguito dell’ennesimo tradimento di Diego con la sorella Cristina, Frida decise di separarsi da lui e, affranta dalla sofferenza per questo doppio tradimento, si taglia quei suoi splendidi capelli neri tanto amati da Rivera. Questo episodio autobiografico è narrato nel dipinto Autoritratto coi capelli tagliati (1940).
Diego però non riesce a starle lontano e solo l’anno successivo le fa una nuova proposta di matrimonio; Frida accetta: non può opporre resistenza al suo unico grande amore, colui che ogni giorno sa strapparla dalle grinfie della morte. Il “gigante e la colomba” tornano insieme e si trasferiscono a Casa Azul, dimora d’infanzia della pittrice. Qui Frida vive i suoi anni più felici, anche se percorsi da quell’eterno dolore che le percorre incessantemente tutto il corpo.
Questa sua colonna rotta è per lei un tormento, ma vi si aggrappa con tutte le forze e lotta fino alla fine dei suoi giorni, vivendo con caparbietà ed estrema dignità la sua condizione fisica e psicologica. Ciò è percepibile in uno dei suoi ultimi dipinti L’amoroso abbraccio dell’universo, la terra (Messico), io, Diego e il signor Xolotl (1949), dove Frida riversa tutta la sua potenza visionaria e riesce a dar corpo all’estrema dicotomia vita-morte che percorre tutta la sua produzione.
Nel 1953, ormai completamente distrutta nel corpo, riesce a realizzare il sogno di una personale nel suo paese d’origine, e presenzia all’evento sdraiata in un grande letto. Questo suo corpo è ormai per lei una prigione, ma la sua voglia di vivere è tale per cui non vuole mollare la presa: Viva la vida (1954) è il suo ultimo dipinto e in esso possiamo sentire quell’ultimo grido contro la morte, che da lì a poco l’avrebbe colta e finalmente liberata dalla prigione del corpo.
Frida muore il 13 luglio del 1954, a soli 47 anni, dopo aver trascorso una vita piena, combattendo per se stessa e per i suoi ideali fino all’ultimo respiro e per questo restando nella memoria collettiva come un grande esempio di artista e di donna.
GRETA COCCONCELLI