1977: esce sugli schermi l’ennesimo film targato Disney. Si tratta di Elliott, il drago invisibile, avventura fantastica di un bambino e del suo amico, un buffo e bonario drago che solo lui può vedere.
Il film, destinato a non rimanere molto impresso nell’immaginario collettivo, si avvale di una tecnica adottata nella cinematografia sin dagli anni ’40, che vede interagire personaggi in carne ed ossa con altri che invece sono dei cartoni animati. Celeberrime, infatti, sono le scene di Mary Poppins che vedono gli attori umani ballare e cantare con i colleghi animati. In questo caso è proprio Elliott, il protagonista, ad essere il personaggio a cartoni animati che duetta splendidamente con il piccolo protagonista umano.
Un’altra caratteristica della pellicola è la presenza di un gran numero di divi hollywoodiani in disarmo, a partire da Mickey Rooney, ex bambino e ragazzo prodigio, a Shelley Winters, attrice di grande spessore che fu per un breve periodo sposata con Vittorio Gassmann, per finire con Red Buttons, attore dalla chioma rossiccia assai popolare nei primi anni ‘50.
Di solito l’attore non più sulla cresta si avvaleva, negli anni ’70, delle pellicole per bambini o del mezzo televisivo per ritornare sulla breccia (complice anche l’attenzione che i media riservavano ai piccoli spettatori, potenziali consumatori) pur consapevole che la sua immagine era inevitabilmente appannata; e così fu per i protagonisti ex divi del film del 1977, meri coprotagonisti di una pellicola risultata poi di non grande eco.
A quasi quarant’anni di distanza è stato da pochi mesi (ad agosto di quest’anno) riproposto il film per la regia di David Lowery, con il più breve titolo Il drago invisibile e con una trama molto simile alla pellicola del ’77, benché aggiornato tramite contaminazioni rousseauiane e alla Truffaut e con qualche pennellatura psicologica assente nell’originale, di cui comunque resta presente gran parte del materiale di base.
Non c’è più un drago furbetto nato dal pennello dei bravissimi disegnatori Disney ma un drago animato con la tecnica CGI, che interagisce in maniera quasi reale con il piccolo attore protagonista; si ripropone invece l’inserimento dei divi di Hollywood che affiancano l’imberbe giovane attore Oakes Fegley e che in questo caso sono Robert Redford, quasi ottantenne ma sempre fascinoso, e Bryce Dallas Howard, giovane diva figlia d’arte del popolare regista Ron Howard, ex Richie di Happy Days.
Più ruspante il primo film, più adeguato ai tempi e persino un po’ più tenebrosa la sua rivisitazione, entrambi si ispirano all’omonimo racconto di S. S. Field e Seton I. Mille, e ancora una volta la fantasia è al servizio dell’infanzia, con spunti dedicati anche ai meno giovani.
FRANCESCA BARILE