Corsi e ricorsi filmici: il cinema al femminile

TheWomenHollywood 1939: George Cukor dirige un film, Donne, che per la prima volta vede sul grande schermo solo interpreti di sesso femminile. Tutto ruota intorno ad una donna tradita che dopo il divorzio lotta per riconquistare l’uomo che non ha smesso di amare e intorno a lei altri personaggi femminili forti ma comunque stereotipati. Storia innovativa che finalmente fa uscire il personaggio femminile da dietro le quinte per fare della donna protagonista a tutto tondo e che viene poi ripresa due volte con un minore successo.

La fine degli anni Trenta si avvale di grandi attrici anticonformiste come Katherine Hepburn o Bette Davis, ambedue carismatiche e intelligenti, affatto corrispondenti all’idea di pupattola bella e senza cervello, ma c’è da dire che il decennio che vede l’America e il mondo affrontare una crisi economica senza precedenti non manca di dive fuori dagli schemi come Mae West, primo sex symbol cinematografico, ironica e acuta.

In Italia , nello stesso periodo, il regime tende a valorizzare un certo tipo di immagine femminile: ecco così la maschietta sbarazzina che poi mette la testa a posto appena conosce un uomo disposto a domarla o la fidanzatina che tutti i giovanotti vorrebbero per sposa e accanto a loro, l’inevitabile mangia-uomini che poi muore o si pente. Anna Magnani nel dopo guerra è senza dubbio l’interprete carismatica e slegata ai canoni classici che contribuisce a dare un nuovo corso al cinema italiano. L’attrice giganteggia in varie pellicole tra cui una quasi completamente interpretata da donne: Nella Città L’Inferno dove è contrapposta a un’altra interprete di peso del nostro cinema, la minuta Giulietta Masina. NellaCittaLInferno

Per tornare a vedere una pellicola non stereotipata nel nostro cinema senza donne destinate a un ruolo minore o di facciata, bisognerà attendere la metà degli anni Ottanta con Mario Monicelli e il suo Speriamo Che Sia Femmina (1986). La vicenda ruota intorno a un gruppo di donne di età ed estrazione sociale diversa che vivono in un casale della campagna toscana e che rappresentano il vero sesso forte se contrapposte ai deboli e inconsistenti compagni. Il film è anche un esempio di un buon lavoro di squadra e della ottima recitazione di Catherine Deneuve ormai giunta alla maturità e della interprete musa di Ingmar Bergman, Liv Ullmann.

Nel secondo decennio del Duemila possiamo ancora categorizzare il cinema e dividerlo?

Molte sono le registe e molte le pellicole che parlano di donne o alle donne, ma è necessario continuare a pensare alle quote rosa? È questo utile o conditio sine qua non per una autentica parità di genere?

FRANCESCA BARILE

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