Steve McCurry, il viaggio oltre il tempo

SteveMcCurryPer fare foto interessanti non c’è bisogno di viaggiare in paesi lontani, ma io avevo bisogno di muovermi e di esplorare”. È questa la motivazione che ha portato il fotografo americano Steve McCurry (nato a Philadelphia 1950 e formato alla Pennsylvania State University) in giro per il mondo, dagli Stati Uniti all’Afghanistan, dal Sudest asiatico all’Africa, dall’India al Brasile, da Cuba all’Italia, attraverso culture, tradizioni, guerre, catastrofi atmosferiche e disastri ambientali.

Il viaggio narrativo-fotografico di McCurry iniziò nel 1978, quando lasciò il lavoro di reporter a Philadelphia per raggiungere l’India. Il suo stile semplice e diretto emerse sin dalle prime fotografie scattate in bianco e nero ai miliziani afghani impegnati in una guerra civile tenuta nascosta agli occhi del mondo dal divieto di ingresso in Afghanistan per i giornalisti. Incurante del pericolo di essere sulla linea di fuoco, McCurry realizzò il suo reportage e, a rischio della vita, riuscì a far pubblicare sul New York Times del 3 dicembre 1979 la prima fotografia di quel conflitto invisibile. La diffusione mondiale delle foto ebbe il doppio valore storico e sociale di rivelare per la prima volta la complessità di una guerra diversa, in cui i combattenti mostravano nei volti e nei gesti l’unitarietà della determinazione, della dignità e della fede di un popolo. La fotografia di un mugiahidin armato che prega prima della battaglia fornì il simbolismo sintetico di una nuova realtà bellica caratterizzata SteveMcCurryAfghanGirldalla convergenza di fede islamica, identità nazionale e lotta armata. Per comunicare con i suoi ospiti, McCurry aveva imparato a decifrare gesti e simboli di una cultura antica e ora li trasmetteva ai suoi lettori. La frequentazione con i ribelli era nata per caso al confine del Pakistan nel 1979, quando rifugiati afghani avevano accettato di introdurlo nel loro paese per testimoniare con le sue foto l’inizio del conflitto che avrebbe sconvolto il paese.

Ma il manifesto della sua arte divenne la foto della “ragazza afghana”, una giovinetta dagli occhi verde-azzurro che fu pubblicata dal National Geographic rendendo famoso McCurry. Quel volto incorniciato da uno scialle bruciacchiato frettolosamente in cucina emergeva sullo sfondo della tenda scura di una scuola per profughi, illuminato da una luce dolce e calda (Campo profughi di Nasir Bagh, Pakistan, 1984). Dopo anni di ricerche finalmente quel volto oggi ha un nome: Sharbat Gula, una giovane donna afghana alla quale una vita tormentata non ha tolto l’intensità dello sguardo penetrante di chi desidera vivere la propria esistenza in silenzio. Il significato di questa fotografia va oltre la bellezza dell’immagine, poiché produsse da subito un movimento di solidarietà nei confronti dei profughi afghani, oggi concretizzato dal progetto Afghan Children’s Fund, una raccolta di fondi per consentire ai bambini di ricevere un’istruzione. Lo scatto di Steve è stato trasformato nel manifesto del popolo afghano dal disegno di M. Fathali, Ragazza afghana, 1996.

La tecnica di McCurry apparve matura già nei suoi primi ritratti. Le foto dei volti sono sempre frutto della paziente attesa dell’attimo in cui lo sguardo del soggetto è pieno, diretto al fotografo e supera la presenza dell’obiettivo, segno dell’empatia stabilita volontariamente tra i due. Con gli anni i volti dipinti dalla luce sono diventati il tratto distintivo di McCurry, icone pregne di significato che svelano allo spettatore le emozioni più intime. Fissando i registri della fotografia contemporanea McCurry ha dato vita a personaggi che sono immortalati in una MostraMcCurryOtranto2016dimensione senza spazio e senza tempo che sintetizza il senso della vita. Al centro delle immagini, “sguardi parlanti” raccontano le storie dei suoi incontri con mondi interiori inascoltati e accomunati dalla volontà di comunicare al di là dei linguaggi e delle culture diverse.

Se la fotografia è memoria allora McCurry la usa consapevolmente per creare istantanee di mondi in estinzione, come il Tibet, affinché l’umanità non dimentichi la bellezza di culture che le guerre tentano di annientare assoggettandole agli interessi economici.

I toni pieni e le forme delle immagini di Steve hanno cambiato il modo di percepire il mondo poiché ogni particolare richiede un’attenta riflessione sulla condizione umana. Ogni sfumatura di colore contiene il rimando a uno stile di vita e a un’esperienza che vanno comprese e rispettate.

Il turbinio di cromatismi esalta i parossismi di una realtà spesso cruda e dolorosa. Così anche i luoghi più noti ci appaiono unici, immortalati in quell’attimo irripetibile che ricorda la caducità della vita. Surreali appaiono quindi le foto dei grattacieli di New York sfregiati dall’attacco dell’11 settembre 2001; impazziti i cammelli che vagano disperati tra le colonne di fuoco dei SteveMcCurryVenditoreDiFioripozzi di petrolio incendiati dalla Guerra del Golfo nel 1991; struggenti i bulbi delle navi scaraventate a secco in Giappone dopo lo tsunami del 2011.

I paradossi della quotidianità raccontano con chiarezza i sentimenti dei protagonisti delle foto: il dolore e la serenità, la sofferenza e la dignità, la solitudine e la tenerezza, la fierezza e la determinazione. Lo sguardo sincero dei soggetti, dai bambini agli anziani, cattura l’attenzione per la capacità di esprimere valori universali. Così ci cattura lo sguardo della mamma col bambino che si avvicina sotto una pioggia incessante al finestrino dell’auto del fotografo per chiedere un piccolo aiuto.

Il viaggio per McCurry assume quindi il valore di una sfida quotidiana per la capacità di essere vicino al dolore e alla sofferenza senza mai rinunciare a permeare le sue immagini di profonda umanità. Tra visti, passaporti, permessi d’ingresso, tasse e tangenti, McCurry si muove tra le difficoltà di un lavoro spesso scomodo e pericoloso per l’ostilità dell’ambiente e degli uomini. Ma Steve non perde la fiducia nelle persone, perché in tutte le occasioni in cui ha rischiato di perdere la vita ha sempre conosciuto la generosità che caratterizza soprattutto coloro che vivono nelle difficoltà.

Il desiderio di Steve è scoprire e narrare storie importanti, come quelle di soprusi e violenze che traspaiono dagli sguardi fieri e dai sorrisi abbozzati dei ritratti femminili. Questa ricerca continua ha portato McCurry a essere testimone di eventi drammatici che diventano sorprendentemente artistici immortalati dai suoi scatti, come le foto realizzate in India durante le alluvioni monsoniche. Intenerisce il cane in equilibrio precario sull’unico gradino non ancora coperto dall’acqua dell’alluvione che guarda la finestra dell’abitazione in attesa che qualcuno esca a salvarlo (Porbandar, India, 1983).

LSteveMcCurryCane’India in particolare ha esercitato su Steve un fascino irresistibile per la molteplicità di colori, ambienti e culture da scoprire. Attraverso il mezzo di trasporto più suggestivo, il treno, il fotografo ci offre scatti dal sapore cinematografico. Grazie alla fotografia ad alta velocità egli coglie il momento dell’avventuroso passaggio di un vassoio per il tè tra due camerieri sospesi a due vagoni mentre il treno corre veloce da Peshawar a Rawalpindi (Pakistan, 1983).

Membro dell’Agenzia Magnum, McCurry ha collaborato con le riviste più note – Time, Life, Newsweek, Geo e National Geographic -, sempre in prima linea per mostrare le conseguenze di conflitti irrazionali e pronto a testimoniare la necessità di conoscere a fondo le culture e le tradizioni dei popoli.

Insignito più volte con premi prestigiosi, Steve McCurry ha al suo attivo diverse pubblicazioni: The Imperial Way (1985), Monsoon (1988), Portraits (1999), South Southeast (2000), Sanctuary (2002), The Path to Buddha: A Tibetan Pilgrimage (2003), Steve McCurry (2005), Looking East (2006), In the Shadow of Mountains (2007), The Unguarded Moment (2009), The Iconic Photographs (2011), Untold: The Stories Behind the Photographs (2013), From These Hands: A Journey Along the Coffee Trail (2015) e India (2015).

La foto del venditore di fiori che guida la sua barca sul lago Dal (Srinagar, Kashmir, 1996) forse meglio riassume il senso del viaggio fotografico di McCurry, perché allude alla ricerca di nuove storie, di nuove occasioni narrative dalle mille sfumature. Esprime l’amore per la vita e per la bellezza di un mondo in continuo divenire nei confronti del quale Steve sente l’obbligo di “ricordare il passato per costruire un futuro migliore”.

Da segnalare la mostra Icons, organizzata da Biba Giacchetti per Civita e SudEst57, con una retrospettiva di Steve McCurry allestita nel suggestivo scenario del Castello di Otranto e visitabile dal 19 giugno al 2 ottobre 2016.

Sito ufficiale di Steve McCurry: http://stevemccurry.com/

Sito della mostra: http://www.mostrastevemccurry.it/

BENEDETTA CAMPANILE

(Tutte le immagini, tranne quella di McCurry e della ragazza afghana, sono state scattate dall’autrice al Castello di Otranto)

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