Bruce Springsteen a Rock In Roma, un Circo Massimo di irrefrenabile entusiasmo

BruceSpringsteen1Dicono che il mondo si divide in chi ama Bruce Springsteen e chi non l’ha mai visto dal vivo. Ora, magari sarà radicale, ma si sa che nei modi di dire c’è sempre almeno un fondo di verità, e in questo caso non si può negare che, anche senza arrivare necessariamente all’amore, è impossibile alla prima esperienza con un suo live non provare rispetto, ammirazione e anche una puntina (non così piccola) di invidia per questo sessantasettenne – ripetiamolo: sessantasette, proprio 67 – che canta, suona e corre per il palco, contento come un diciottenne al suo primo tour, ininterrottamente per quattro ore, sì ben quattro ore no stop: da quando arriva sul palco allestito al Circo Massimo, col sole della città eterna non ancora tramontato, a quando se ne va, a mezzanotte passata da un po’ – sempre sulle note del tema morriconiano di C’era una volta il west – le canzoni si susseguono quasi senza soluzione di continuità; la pausa più lunga è il minuto scarso che passa prima del pezzo di chiusura, mentre quella prima dell’encore non la si può nemmeno chiamare pausa.

In mezzo a questa vera e propria maratona musicale, poche parole: entusiasmo per la location, incitamenti, spesso in italiano, compreso un “Daje”, e una dedica ai francesi prima di Land of Hope and Dreams. Il resto è pura, grezza, primordiale, BruceSpringsteenRoma2016inarrestabile energia rock. Il grosso della scaletta è chiaramente dedicato a The River, con la canzone omonima che regala brividoni, specie accoppiata alla precedente The Ghost of Tom Joad, graditissimo debutto in questo tour, così come New York City Serenade, che apre il concerto.

Oltre all’album del 1980, eseguito quasi per intero – il lato A tutto di fila, e poi Hungry Heart, Out in the Street, Drive All Night… -, non possono mancare gli straclassici che chi-se-ne-frega, attamarriamoci e cantiamo: Because The Night (con testo pre-Patti Smith), Born in The U.S.A., Born To Run, Dancing in the dark – durante la quale viene rispettata la tradizione degli spettatori prelevati dal parterre e fatti salire sul palco.

Dopo il divertito gioco smettiamo-non smettiamo-finito-ricominciamo su Shout degli Isley Brothers, il finale è morbido e commovente con un’acustica Thunder Road.

E santi numi, mentre noi siamo provati, Bruce dà l’impressione che potrebbe stare su quel palco per altre quattro ore!

LETIZIA BOGNANNI

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