L’attrice Cristina Sarti senza scarpe su “Lacattivastrada”

CristinaSarti1Dopo aver avuto il piacere di conoscere e intervistare Aldo Ascolese, in occasione dello spettacolo teatrale e musicale Lacattivastrada andato in scena, tra le numerose date, al Teatro Dehon di Bologna, abbiamo incontrato anche l’attrice Cristina Sarti, autrice dei testi ed anche scenografa dello spettacolo.

Questa è stata la sua prima esperienza musicale, in quanto la Sarti proviene dal teatro classico.

Diplomata infatti all’Accademia Teatrale del Teatro Stabile di Trieste nel 2006, ha proseguito la sua formazione artistica approfondendo il metodo Strasberg con Michael Margotta, coach dell’Actor’s Studio di New York. Il suo debutto sul palcoscenico è avvenuto ancora prima di terminare l’accademia teatrale, quando nel 2004, al Festival della Versiliana, ha affiancato Corinne Clery, Antonio Salines e Vittorio Viviani ne Le allegre comari di Shakespeare per la regia di A. Buscemi. Sempre con la regia di Buscemi è stata tra le protagoniste de Le Intellettuali di Molierè a cui hanno fatto poi seguito diversi spettacoli di successo.

Nel 2008 Cristina Sarti ha avviato una collaborazione con l’attore e regista Antonio Salines e successivamente ha ricoperto il ruolo di protagonista con E. Zolà in Nanà e ha recitato ne La voce umana di J. Cocteau, ne La signora delle camelie di M. Ainzara, in Gamianì di A. de Musset (adattamento teatrale di Riccardo Reim), in Generazione due cavalli di M. Ferrari e in Ti ho sposato per allegria di N. Ginsburg. Ha poi lavorato con il regista Francesco Macedonio su testi di A. Cechov per la Compagnia del Teatro Orazio Bobbio di Trieste. È stata interprete di diverse regie di Giuseppe Emiliani tra cui Aldo Moro o Antigone con Virgilio Zerniz.

Nel 2009 ha lavorato a fianco di Vanessa Gravina e Edoardo Siravo per la 40 Biennale internazionale di Teatro Venezia nello spettacolo Capitano Ulisse, sempre per la regia di Giuseppe Emiliani. Ha lavorato anche al fianco di Mascia Musy ai Musei capitolini del Campidoglio di Roma nella pièce Il Volpone di Ben Jonson, per la regia di A. Gagnarli. Ha interpretato La Marcolfa di Dario Fo per la regia e con Carlo Simoni, per il prestigioso Festival di Borgio Verezzi. Ha inoltre portato in tournée in Italia per quattro anni di seguito lo spettacolo Sei personaggi in cerca d’autore con la regia del grande Giulio Bosetti ed è stata la protagonista de La Bottega del caffè di Goldoni con regia di G. Emiliani.

Ed ora con Lacattivastrada sta riscuotendo sempre maggiori consensi. Ecco quello che ci ha raccontato:

Ciao Cristina, che impressione hai avuto dello spettacolo portato in scena a Bologna e quali emozioni in CristinaSarti2particolare ha lasciato vive in te?

La replica di Bologna è stata un bagno di emozioni. Quando si accendono le luci sul palco, ogni volta si entra in scena un po’ come se fosse un appuntamento al buio con il pubblico.

All’inizio si avverte sempre un po’ di timidezza, ma con il pubblico di Bologna il ghiaccio si è rotto velocemente. È stata una vera emozione ascoltare il silenzio di un pubblico attento che presto è entrato nello spirito dello spettacolo e che è diventato sempre più partecipe, fino alla condivisione dei bis finali, dove abbiamo fatto accendere volutamente le luci in sala per condividere con il pubblico il momento conclusivo, come fosse una festa per tutti. E Bologna è stata molto generosa in questo e ancora sento viva l’elettricità che si è sentita in quella serata.

Di questo spettacolo sei anche autrice dei testi che presentano poi alcuni dei brani famosi interpretati magistralmente da Aldo Ascolese e accompagnati abilmente dalla tastiera di Domenico Berta. Quanto c’è di tuo nei testi che hai scritto e quanto c’è invece di ispirato alla visione femminile delle donne di De Andrè? Ti senti in qualche modo un poco “malafemmina” anche tu oppure è solo scena e testi per la scena?

Premetto che sono cresciuta ascoltando le canzoni di Faber e questo è merito della passione di mio padre per il grande cantautore; ricordo ancora quando avevo otto anni e le colonne sonore delle nostre gite in macchina erano le mangiacassette degli album di De Andrè e cantavamo insieme le sue canzoni. Quanto c’è di me stessa nei testi che ho scritto? Be’ direi tutto, dentro ognuna di quelle donne che ho descritto e fatto rivivere c’è quello che sono, quello che la gente vede di me e anche quello che non sono ma che vorrei tanto essere. La Cristina riflessiva, romantica, la Cristina esuberante, la Cristina che si libera gioiosamente dalle convenzioni (Pirandello dice che ci crediamo uno ma in realtà dentro siamo tanti). E quelle dipinte da De Andrè sono donne che si svelano senza timore nella forza delle loro fragilità, nella schiettezza della loro sfrontatezza e al tempo stesso nella sofferenza e nella ironia come arma di salvezza. Il tempo passa ma per De Andrè la madre, la puttana, l’amante, la figlia, vivono sempre in un’unica donna e in questo senso sono la stessa “malafemmina” che rappresenta la cartina tornasole dell’azione e reazione maschile. In questo immaginario, allora sì, mi sento anche io una malafemmina.

Come è nata questa idea e questa collaborazione con gli altri due artisti?

Come ti dicevo, da sempre amo le canzoni e i testi di De Andrè, ma erano una parte molto intima di me che non avevo mai pensato di mettere in scena. Poi a Milano ho avuto l’onore e il piacere di conoscere Aldo Ascolese che cantava i pezzi di De Andrè e ascoltandolo mi sono resa conto che lui non li eseguiva ma li impersonava a suo modo, riportandoti nelle stesse atmosfere della Genova di De Andrè mettendoci però la sua intimità, il suo vissuto, donandosi; e allora ho capito grazie ad Aldo, che lì dentro poteva esserci il senso del teatro canzone e la collaborazione è stata una conseguenza spontanea e inevitabile.

Con Lacattivastrada ti sei rivelata un’artista eclettica che sa scrivere testi, sa di conseguenza interpretarli e poi anche rappresentarli. Reciti, danzi e ti esprimi al meglio sia con le parole e sia con la fisicità e la gestualità, concentrata, precisa e di grande efficacia. Cosa ti ha spinto a questo passaggio dai testi classici teatrali ad un’interpretazione più moderna e anche nuova?

Per un attore la possibilità di scrivere lo stesso testo che poi si porta in scena è una delle soddisfazioni più grandi. I personaggi che scrivi sono un po’ come tuoi figli e in questo caso specifico è molto forte per me la possibilità di dare vita a ciò che scrivo attraverso il mio corpo e la mia gestualità, anche perché ho sempre creduto che dal punto di vista recitativo l’interpretazione nasca in primis dal corpo, dal suo atteggiamento, dopo arriva la voce come un prolungamento del messaggio fisico, ma il messaggio viene trasmesso già da prima, anche nel movimento o nella fissità del “silenzio” di un gesto che parla.

Sull’ultima osservazione che mi fai, in realtà non credo che ci sia differenza tra testi classici e moderni, se penso alla modernità e acutezza di Shakespeare ad esempio, ma piuttosto distinguo tra le forme in cui vengono messi in scena. Chiaramente la cifra che fa la differenza nel nostro spettacolo è la struttura a incastro dove c’è un dialogo a due voci tra l’attrice e il cantante e per me, come dicevi anche tu, questo spettacolo è stato uno stimolo a concepire un’interpretazione che si affranca da certi schemi interpretativi che ancora oggi riducono l’idea del teatro a sola impostazione vocale o atteggiamenti strutturati. E con le storie di queste “malafemmine” ho sentito il teatro che non è solo sul palco, ma è nella strada , tra la gente e da qui anche la mia scelta di abbattere la “quarta parete” durante lo spettacolo e di parlare direttamente con il pubblico guardandolo anche negli occhi.

CristinaSarti3Non dimentichiamo poi che di questo spettacolo tu sei anche la scenografa, avendo realizzato una scenografia piena e completa che con pochi elementi essenziali è riuscita ad essere molto eloquente. È stato questo il tuo primo lavoro da scenografa oppure ti eri già cimentata in precedenza in questo ruolo?

Per quel che riguarda la scenografia, avevo già avuto occasione di fare un allestimento scenico in un monologo interpretato da me in precedenza, La signora delle camelie, tratto dal romanzo di Dumas e adattato per me dall’autore italo-francese Ainzara. In quell’occasione avevo puntato sempre sull’essenzialità e sulla versatilità di materiali semplici, come dei teli chiari che, a seconda di come filtravano la luce, potevano evocare gli stati d’animo della protagonista, senza distogliere l’attenzione del racconto, bensì valorizzandolo. Allo stesso modo nello spettacolo Lacattivastrada, seguendo la mia inclinazione ad un gusto estetico e funzionale che punta sulla semplicità, mi sono concentrata su pochi elementi che possono rappresentare molto a seconda di come li si usa: una sedia può diventare un pulpito, un compagno di danza, un rifugio o può rappresentare semplicemente l’attesa anche quando è vuota. È così anche per i costumi: una veste di seta nera è come una tela, su cui si dipingono i personaggi femminili, a seconda di come viene indossata.

Il teatro è un’esigenza o un passatempo?

Dunque, il mio rapporto con il teatro, anzi con la recitazione, nasce quando ero molto piccola. Mi ricordo che in certe sere “obbligavo” la mia famiglia ad assistere a delle scenette comiche che improvvisavo sul momento, ero buffa. Poi ho studiato danza classica per undici anni, e quello è stato il mio primo approccio con le arti performative e da cui ho ereditato il senso del disciplinamento della forma artistica; per cui l’estro è libero ma è allo stesso tempo controllato, affinché sia un vero vettore verso il pubblico.

Dopodiché mi sono laureata in scienze politiche, ma l’amore per il teatro alla fine ha vinto su tutto e dopo l’Accademia ho capito che non potevo e non sarei mai voluta tornare indietro. Raccontare delle storie e condividerle con il pubblico è un atto d’amore, sia per me nel momento in cui il pubblico mi dedica il suo tempo e sia per il pubblico nel momento in cui io mi dono a lui.

Il teatro ha un potere quasi mistico, profondo, quando sono sul palco sono tutto quello che sono e al tempo stesso, quello che non sono ma che esce da me, solo in quel momento preciso in cui si accendono le luci. Il teatro è quella zona liminare in cui convivono nello stesso tempo e spazio ciò che è vero e ciò che non è vero e io confesso che sento il palco come la mia casa, come il luogo in cui mi sento viva, nonostante il teatro sia una delle poche forme d’arte che si esaurisce nello stesso momento in cui viene rappresentato. Per me quindi più che passione di vita è proprio vita e dunque esigenza, e questo forse l’avevo già capito quando da piccina raccontavo le storie…

Hai lavorato con grandi registi, fra i quali Giulio Bosetti. Hai qualche aneddoto o ricordo che ti è rimasto caro in proposito?

Ricordo quando feci il saggio di Accademia a Trieste con Francesco Macedonio e io facevo Nina de Il Gabbiano, il regista era molto duro con me. Nina è un personaggio molto tormentato e lo ero anche io al pensiero di fare quel ruolo, lui si arrabbiava perché non riuscivo ad essere credibile. Un giorno mi suggerì di dire le battute del personaggio usando il dialetto della mia terra e poi di ridirla in lingua italiana e continuare a pensarla in dialetto, alla fine della prova aspettavo un suo giudizio, ma non lo sentivo, stava piangendo, si era commosso Per me è stato un grande maestro e con una grande umanità, nascosta dietro quei suoi modi rudi.

Per non parlare del maestro Antonio Salines, che mi ha sempre detto che l’unica cosa che contava per recitare era quella di “pensare” ogni singola battuta. Può sembrare così scontato ma è una delle cose più difficili.

Quando sei in scena, sul palco lassù e concentrata sulla tua performance, come vedi e guardi e percepisci il pubblico, lì sotto di te, che ti sta guardando e ammirando?

Quando sto sul palco cerco di non guardare mai il pubblico, sennò addio concentrazione e se il pubblico si accorge che lo stai guardando la magia si frantuma. Sentire il pubblico è un’altra cosa e ti dà la possibilità di captare se è attento o meno o se non riesce a starti dietro e allora lì devi entrare in ascolto con lui per incalzare il messaggio e lasciarti andare. Ovviamente questo è diverso quando si adotta una scelta precisa di voler parlare direttamente al pubblico, come avviene in alcuni tratti del nostro spettacolo. In ogni caso il pubblico è sempre sacro perché ci dà l’opportunità di esserci. Ora che andiamo in tournée sarà interessante vedere come cambiano le reazioni del pubblico da una zona all’altra d’Italia, ma De Andrè è amato ovunque.

Tu vivi e lavori a Milano, però porti in giro per l’Italia lo spettacolo teatrale con due Genovesi doc. Qual è il punto di congiunzione che vi unisce?

Sai che io sono una “trapiantata” a Milano, ma le mie origini, dove vive tuttora la mia famiglia, sono in Lunigiana, a Villafranca, che è una terra di confine tra la Liguria, l’Emilia e la Toscana: siamo in provincia di Massa Carrara, ma abbiamo il prefisso telefonico di La Spezia. Ed ecco che la stessa aria che fende la montagna e il mare allo stesso tempo, ritorna anche nelle mie origini. Quindi è anche vero che quando ci riuniamo, io porto i Testaroli (pasta lunigianese, ndr) che si condiscono con il pesto doc genovese (e Aldo cucina benissimo!).

Se si potesse stabilire una sorta di classifica, qual è il ruolo in cui ti senti più a tuo agio, fra quello di attrice in scena, autrice di testi oppure scenografa delle scene teatrali?

Oddio, diciamo che il senso del teatro riunisce tutte e tre queste componenti. Sicuramente al primo posto c’è la recitazione, ma dopo questa esperienza mi sta appassionando molto anche la scrittura. Fino ad ora avevo fatto solo degli adattamenti da romanzi per il teatro, come da Nanà di Emil Zolà, che poi ho portato in scena, ma questo testo inedito sulle donne di De Andrè mi ha messa alla prova in prima persona, infatti non dormivo per cercare l’ispirazione e mi è piaciuto tantissimo. Per questo motivo adesso sto già lavorando ad un nuovo progetto scritto da me, da mettere in scena sempre insieme ad Aldo Ascolese.

Secondo te i testi dei brani di De Andrè possono entrare a fare parte dei testi nobili e classici del nostro CristinaSarti4patrimonio letterario italiano, quelli che rimarranno ai posteri, per i secoli e i secoli a venire?

Sì, io credo proprio che i testi dei brani di De Andrè siano già parte del nostro patrimonio letterario, quantomeno culturale. Come ti dicevo, non c’è regione d’Italia in cui non sia amato e poi ha il grande pregio di unire più generazioni. Noi stessi lo vediamo ogni volta che portiamo in scena Lacattivastrada ed è veramente un momento molto emozionante quando vedi tra il pubblico generazioni diverse tra loro, unite tutte dalla passione per i testi di Faber. Le sue parole raccontano la nostra storia, l’Italia con i suoi controsensi, le malinconie i turbamenti, le sfide, le imprese, e tutto questo Faber lo fa a volte usando un linguaggio fiabesco e tagliente al tempo stesso. Riesce a raccontare gli episodi più scabrosi della storia italiana e umana, senza essere mai volgare e con una sagace ironia che nobilita tutto. In De Andrè anche la morte diventa una ballata vera.

Pensi che i tuoi testi sarebbero piaciuti allo stesso De Andrè?

Non so se a De Andrè sarebbero piaciuti i miei testi ma sinceramente lo spero. Ad ogni modo, come ti dicevo, visto che fin da piccola grazie a mio padre le canzoni di De Andre sono state parte integrante della colonna sonora della mia vita, diciamo che hanno contribuito molto a sbloccare le mie emozioni, pianti, rabbia e sorrisi, in modo particolare dall’adolescenza ad oggi. Quindi hanno influito sulla persona che sono oggi e la persona che sono è quella che è nei miei testi.

Spero di avere risposto…

Certo, hai risposto perfettamente, grazie. Lo spettacolo Lacattivastrada sta insomma riscuotendo molti successi ed avete molte richieste in tutta Italia. In seguito a questo fortunato progetto artistico, ma oltre a questo quali sono i tuoi futuri progetti?

Sì, come ti accennavo, camminando sulla strada fortunata de Lacattivastrada sto scrivendo un nuovo spettacolo insieme ad Ascolese, dove uniremo una storia grottesca del periodo gotico francese ad alcune delle canzoni dei cantautori più intensi del panorama italiano, da Paoli ad Endrigo fino a Modugno, inserendo anche canzoni dello stesso bravissimo Aldo Ascolese.

Nel frattempo mi preparo anche a mettere in scena Riccardo III di Shakespeare e contemporaneamente sto lavorando ad un progetto cinematografico su una sceneggiatura gotica ambientata nei castelli del Trentino. Inoltre c’è in cantiere anche un altro progetto su Giorgio Gaber, con dei bravissimi musicisti e con la straordinaria cantante milanese Angela Baggi.

Ringraziandoti per la tua gentile disponibilità voglio porre anche a te la stessa domanda che ho già posto ad Ascolese: vuoi salutarci con un pensiero tutto tuo che possa essere di buon auspicio?

Intanto sono io che ti ringrazio per questo piacevole incontro culturale e per la tua sensibilità artistica e per mio conto mi auguro fortemente che il nostro paese continui ad investire le giuste risorse per la cultura e l’arte in genere, perché l’arte può essere immortale e soprattutto perché apre gli sguardi e le menti. L’artista è colui che ti fa vedere una cosa (anche ovvia) ma lo fa arrivandoci per vie altre, non convenzionali. L’arte in genere allena a guardare il mondo e la quotidianità con altri punti di vista.

Infine ricollegandomi al teatro, ti vorrei riportare una citazione tratta da Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, a cui tengo molto e in cui c’è il mio personale sunto sul teatro, quindi nella mia arte è ormai la frase scaramantica per eccellenza: “Non ci sono piccole parti ma solo piccoli attori”.

Ciao, a presto.

ROSETTA SAVELLI

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